domenica 30 ottobre 2016

Class: quando l'universo di Doctor Who diventa postcolonial

Non solo i ritmi incalzanti della serie madre, non solo le tinte fosche e macabre di Torchwood. Class, il nuovo spin-off di Doctor Who, ci offre qualcosa in più: uno spaccato della società britannica dove la britishness, quell'identità dell'inglese medio che legge il giornale mentre beve il tè (mi si perdoni questa triste banalizzazione), è un ricordo lontano, qualcosa che è mostrato come un estraneo in casa propria. L'atmosfera postcoloniale, fatta delle identità dei migranti dell'ex-impero che popolano la Londra d'oggi, è vissuta in prima persona dai giovani protagonisti, i quali raccontano le esperienze di integrazione degli immigrati di seconda generazione ed il rapporto non sempre semplice con i propri genitori, quelli che a Londra hanno portato i protagonisti.

Ram Singh e Tanya Adeola sono i due principali soggetti di questo aspetto della serie.
Ram e suo padre
Ram, un talento del calcio di origini indiane vive col padre, un uomo che nonostante gli anni vissuti in Inghilterra non ha abbandonato l'uso del turbante. Particolarmente dedito al figlio, il signor Singh lo segue ovunque, in particolare sul campo da calcio, dove cerca di assicurarsi che grazie alle sue doti sportive, il ragazzo riesca a farsi strada e riscattarsi in una società dalla quale il padre stesso non sembra sentirsi coinvolto. Nonostante sia considerato fra i più fighi del liceo, Ram sente il peso delle aspettative del padre e non è un caso che nutra un atteggiamento scontroso e chiuso nei confronti degli altri, principalmente verso i protagonisti più "british". Tuttavia, saranno proprio la comprensione e la vicinanza del padre ad avviarlo verso un atteggiamento diverso.

Tanya, il genio nigeriano
Tanya Adeloa vive invece una situazione quasi opposta. Ragazza geniale e figlia di una immigrata nigeriana, Tanya non vede l'ora di buttarsi a capofitto in una società che la affascina. Purtroppo per lei, si pongono subito due ostacoli: la madre e la poca apertura altrui. La madre di Tanya è una persona molto conservatrice, la quale è ossessionata dalla salvaguardia della purezza della figlia così come la "tradizione educativa nigeriana" prescrive. Le impedisce di andare al ballo scolastico e non vuole che frequenti ragazzi, specialmente dopo cena. Tanya trasgredisce più volte durante le prime due puntate, vivendo comunque nel terrore delle severe punizioni materne. Purtroppo anche l'ambiente scolastico non sembra mostrare molti spiragli di vita sociale, data la "diversità" che già ad occhio si percepisce rispetto agli inglesi. Non è un caso che Tanya stessa riconosce che deve cogliere ogni occasione per avere nuovi amici...anche facendosela coi meno popolari dell'istituto.
Alla fine, con l'iniziale scusa dei compiti scolastici, i due "stranieri" finiranno col legare proprio fra loro.  
 
Charlie e Miss Quill, gli alieni "british"
Una nota finale meritano altri due protagonisti: Charlie Smith e Miss Quill. Appartentemente i due personaggi sono quelli dall'aspetto e dal portamento più vicini alle stereotipo "british": biondi, abbigliamento da borghese medio-alto, un bell'appartamento e, per quanto riguarda Charlie, modi di fare da gentleman. Peccato che entrambi....siano degli alieni! Con questo espediente, il regista Patrik Ness ha messo in luce un altro aspetto del mondo postcolonial che ricorre non solo nella società britannica: il sentirsi stranieri in casa propria, il vedere la propria identità, quella autoctona, come qualcosa di sempre meno tipico ed in crisi.

Questo aspetto del nuovo spin-off porta una ventata di forte realismo sociale nell'universo di Doctor Who, un realismo che forse si è vissuto solo nella quarta stagione della serie madre (ma sempre in background) grazie a Donna Noble, rappresentante del precariato inglese. Anche le vicende legate agli Zygon nella nona stagione possono rappresentare in qualche modo il conflitto fra migranti e paese di accoglienza, ma anche in questo caso l'aspetto postcoloniale va in secondo piano rispetto ai ragionamenti sull'inutilità della guerra. 
Continuerà Class a regalarci questo realismo nella fantascienza? Io mi auguro di sì, perchè mai come ora un prodotto per ventenni ha bisogno di insegnare alla nostra generazione il valore che si cela dietro la diversità ed una serie di alta qualità come questa è un ottimo veicolo per raggiungere gli adolescenti ed i giovani adulti. 

domenica 11 settembre 2016

Purtroppo i 2000 ne sanno fin troppo.

Io ancora non avevo compiuto 10 anni. In Italia era pomeriggio e io stavo facendo merenda. Di lì a poco sarebbe iniziata una nuova puntata dei Digimon, ma improvvisamente tutte le reti (eccetto Rai3, la quale continuava a trasmettere un documentario) iniziarono a mostrare le stesse immagini di due grattacieli in fiamme. Credevo che il televisore si fosse rotto e corsi da mia madre a dirglielo, ma lei mi spiegò che quello era un attentato terroristico (sentivo queste due parole per la prima volta) e che era un fatto di una gravità inaudita e per questo tutte le reti ne parlavano. Rimasi a guardare quella tragedia per tutta la sera.





Il mondo per la prima volta mi si era prefigurato come un posto dove c'era gente capace di fare cose orrende. A quello seguirono le guerre in Afghanistan ed Iraq, gli attentati di Londra e Madrid e le morti di diversi soldati italiani andati al fronte. Quella catena di eventi che volente o nolente vedevo tramite i telegiornali aveva educato me e la stragrande maggioranza dei miei coetanei ad avere una visione del mondo dove c'è il "nemico numero 1": Osama Bin Laden => i radicalisti islamici => i Musulmani in generale. Nel giro di poco tempo passammo letteralmente a vedere l'umanità divisa in due schieramenti: il mondo islamico da una parte e tutto il resto, Occidente in prima fila, dall'altra. Avevamo un nemico nella nostra testa, il quale corrispondeva non ad una persona o ad un'organizzazione: corrispondeva a tutti i seguaci di una fede. Naturalmente, a poco servì la morte di Bin Laden nel 2011 per alleviare questa idea così ostile.


Rispetto a noi nati nei primi anni '90, ai ragazzi della generazione successiva, quella dei 2000, sarebbe potuta andare meglio. Che ne sanno loro di quell'orrore in diretta? Cosa sanno di quei due grattacieli infilzati come fossero panetti di burro?  Che ne sanno di Nassirya? No, loro sanno tutto, forse anche di più. Mentre aspettavano che su Facebook si caricassero le foto della serata precedente, hanno visto le immagini degli attentati a Charlie Hebdò e al Bataclan. Mentre alla stessa età noi avevamo Bush e la Fallaci tanti altri leader che parlavano della guerra al terrore e al mondo musulmano, loro oggi hanno i Le Pen ed i Trump di turno che veicolano gli stessi messaggi, mesaggi che sono semplicemente più capillari grazie a Facebook. Questi messaggi hanno però una portata ancora più disastrosa se si considera che i flussi migratori oggi sono ben più ampi rispetto a 15 anni fa.
 Un'altra generazione sta crescendo irrimediabilmente con la cultura del nemico, proprio come i nostri genitori e nonni hanno fatto durante la Guerra Fredda, quando il nemico era rappresentato dall'URSS e dai comunisti.
A quindici anni da quella tragedia, con una situazione tutt'altro che migliorata dal punto di vista della sicurezza e delle relazioni interculturali, dobbiamo porci una domanda necessaria: Questa cultura del nemico ci sta giovando?
Il mondo islamico, quello che col terrorismo niente c'entra, è diventato ostile all'Occidente a causa di quest'etichetta del "nemico". Se loro sono i nemici dell'Occidente, allora l'Occidente è loro nemico.
Ho conosciuto ragazzi tunisini, pakistani, egiziani e turchi della mia età che hanno vissuto e vivono nella rabbia e nella vergogna per essere associati al terrorismo. Ragazzi di base pacifici che detestano l'Occidente perchè si sentono a loro volta detestati e visti come pericolosi per il loro modo di pregare. In realtà li biasimo perchè come troppi ragazzi occidentali non vanno oltre le apparenze trasmesse dai media, così anche loro capiscono a fatica che l'Europa e l'America non sono fatte solo da islamofobi.
I '90 ed i  2000 di entrambi i "lati della barricata" secondo me hanno perso la sfida culturale dell'avvicinamento dei due mondi. Basta leggere certi stati du Facebook per capirlo.
Riuscirà nel futuro la generazione dei 2010 a vincerla? Riusciranno a capire che il vero nemico è chi fomenta e mette in pratica l'odio, sia esso il politico razzista ed islamofobo o l'imam radicale e violento? Secondo me non ci riusciranno, ma non si sa mai...