martedì 10 febbraio 2015

Le vittime della geopolitica

Non voglio commemorare questo 10 febbraio come al solito. Vorrei andare un po' oltre. Vorrei associarlo ad un'altra data, il 26 febbraio. E' una data che per noi italiani non significa molto, ma che ha un grosso senso per il popolo dell'Azerbaijan e per chi ha qualche amico che vive là. Il 10 ed il 26 febbraio dovrebbero andare di pari passo per chi ci tiene a commemorare le vittime delle Foibe perchè purtroppo quell'odiosa pratica di acquisizione territoriale tramite la pulizia etnica continua ad esistere ed accomuna fra loro popoli molto distanti fra loro. Il problema è che la pulizia etnica non è un fine, non è odio fine a sé stesso: é molto spesso un mezzo tramite il quale uno stato o una fazione cerca di conseguire le proprie mire di controllo di nuovi territori per salvaguardare i propri bisogni geopolitici.

Riassumiamo le due storie.
Fra il 1945 ed il 1943 i partigiani jugoslavi e l'OZNA (organizzazione militare jugoslava) conquistarono le allora italiane Istria e Dalmazia, arrivando fino a Trieste e Gorizia. Nel loro lavoro di conquista, massacrarono migliaia di civili e militari (italiani ma a quanto pare anche jugoslavi non vicini a Tito, il futuro dittatore della Jogoslavia) con la pratica dell'infoibamento. Ancora di più furono gli italiani che dovettero lasciare le proprie terre per cercare rifugio nel resto dell'Italia. Fra le motivazioni ufficiali della conquista jugoslava, il fattore etnico è fra i prevalenti.

Fra il 1992 ed il 1994, ci fu un conflitto armato fra Armenia ed Azerbaijan per il controllo delle montagne del Nogorno-Karabakh, territorio azero considerato dagli armeni loro terra da un punto di vista etnico e storico. Nell'ambito di questo conflitto, la notte fra il 25 ed il 26 febbraio del 1992, le truppe armene assalirono una città, Khojaly, dove vennero massacrati senza alcuna pietà e senza distinzione di età o di sesso 613 civili azeri. La guerra si è conclusa con l'occupazione del Nagorno-Karabakh da parte degli armeni e con la completa cacciata degli azeri dalle loro terre. Fra coloro che furono cacciati c'è anche un mio carissimo amico, Samir Mammadov, che poco dopo la sua nascita, nel 1993, dovette abbandonare assieme alla propria famiglia la sua casa nel distretto di Kelbajar per rifugiarsi a Baku, la capitale dell'Azerbaijan.

A coloro che credono che queste storie siano nate solo da odi etnici o relativi a schieramenti politici, devo purtroppo far notare che tali argomentazioni in realtà sono solamente le scuse con le quali il potere cerca di legittimare le proprie azioni agli occhi dei propri cittadini. Entrambi i casi sono esempi lampanti di quanto dico.
Se prendiamo in considerazione la fascia di costa fra Venezia, Trieste e Fiume, possiamo notare come essa sia strategica per il controllo del mare Adriatico grazie alla presenza di porti piuttosto sicuri e di profondità dei fondali più alte rispetto al resto dei litorali. Fondamentalmente chi controlla Venezia, Trieste e Fiume ha una posizione di prevalenza sull'Adriatico. Le forze jugoslave, consce della cosa, hanno cercato con successo di invadere l'Istria e la Dalmazia. Considerando che Fiume cadde in mano loro, che Trieste venne divisa in due zone di amministrazione per trent'anni, i seguaci del maresciallo Tito avevano pareggiato i conti dal punto di vista marittimo, con spargimenti di sangue quanto meno efferati. Per Gorizia il concetto è simile: la città sorge sulla valle del Vipacco, punto di comunicazione in mezzo alle montagne fra Italia e territori slavi. Controllare quel passo significa garantirsi dall'entrata di truppe militari nemiche ed anche qui gli uomini di Tito riuscirono nel loro intento occupando la valle e dividendo in due Gorizia, sempre con gli stessi metodi.
Il Nagorno-Karabakh si presta ad analisi dello stesso genere: controllare quelle alture significa avere (da un punto di vista militare) facile accesso in Armenia, in Azerbaijan e, in misura minore, in Iran. Considerando che fra gli armeni e gli azeri non è corso buon sangue nemmeno durante la dominazione sovietica, non appena il governo di Yerevan l'ha trovato utile e possibile, ha invaso quei monti che sarebbero stati altrimenti un facile punto di accesso al proprio territorio, portando morte e pulizie etniche sulla punta delle baionette.
Chi sono le vittime di questi giochi? Solo gli esuli? Solo coloro che sono rimasti uccisi? Purtroppo no. Purtroppo le vittime sono tutti coloro che rimangono impelagati nell'odio, nelle diatribe e negli scontri generati dai discorsi populisti che queste pratiche geopolitiche generano. E allora via coi comunisti che negano, coi fascisti che urlano fino a far tacciare il 10 febbraio come un momento di propaganda fascista, cone le accuse reciproche, con quelli che osteggiano l'entrata della Croazia nell'U.E., con le persone che vivono al confine che ancora si guardano con sospetto reciproco, con gli azeri che sparerebbero a vista un armeno e viceversa, coi ponti aerei fra Yerevan e Baku ancora tagliati e con le guardie di frontiera che si uccidono a vicenda. A chi giova tutto ciò? Di sicuro non a chi la tensione la subisce e la alimenta.
Il 10 ed il 26 febbraio non sono i giorni della tragedia in sé, ma i giorni della tragedia in me.